Il lavoro di cura: sfide, benessere e sostenibilità nel settore socio-sanitario

Qual è lo scenario e il contesto attuale del lavoro di cura?

Oggi, il lavoro di cura si trova di fronte a sfide significative che derivano non solo dalla crescente domanda di assistenza, ma anche dalle difficoltà strutturali delle organizzazioni sanitarie. Le iniziative promosse nell’evento specifico dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e sostenute dal Ministero della Salute finlandese evidenziano l'importanza del benessere del personale sanitario. A questo proposito, è fondamentale comprendere come le istituzioni sanitarie possano evolversi per diventare più consapevoli delle necessità di coloro che si impegnano nel lavoro di cura.

Uno degli aspetti sottolineati dall'OMS è la necessità di un ambiente lavorativo che non solo curi le/i pazienti, ma che abbia cura del personale, promuovendone il benessere. Spesso, le organizzazioni producono e alimentano contesti che possono rivelarsi stressanti, sempre più tossici, alimentando una spirale (circle pain) di malessere tra le/i professionisti della salute. Questo stress non è solo il risultato di fattori esterni, quali il contatto con la malattia e la morte, ma è amplificato dalla qualità delle interazioni all'interno delle stesse organizzazioni.

Le conseguenze di questa situazione sono drammatiche: il burnout, il distress psicologico e il rischio di malattia mentale sono solo alcune delle problematiche che affliggono il personale sanitario. Durante l’evento, in particolare, l’OMS ha lanciato un appello per affrontare questi temi, enfatizzando la necessità di interventi mirati e all’urgenza di avere dati di ricerca sul tema.

Le azioni che possono essere messe in atto includono programmi per garantire il work-life balance, formazione continua, opportunità di supervisione e riconoscimento professionale. Si è compreso che il benessere dei caregiver è direttamente collegato all'efficienza complessiva del sistema sanitario e alla qualità delle cure fornite. Un personale insoddisfatto o traumatizzato è più soggetto a commettere errori, con effetti negativi non solo sulla loro salute ma anche sulla sicurezza e sul benessere dei pazienti.

Inoltre, l'OMS ha evidenziato che il problema è globale: riguarda i paesi di tutta l’Europa. È necessario creare una rete di supporto internazionale per condividere buone pratiche e strategie per migliorare la qualità del lavoro di coloro che curano.

In conclusione, è essenziale che le organizzazioni sanitarie si impegnino attivamente a diventare spazi di cura non solo per i pazienti, ma anche per chi cura. Solo così potranno veramente assolvere al loro compito di promuovere la salute e il benessere a livello complessivo. Inoltre, è un tema di sostenibilità di riuscire effettivamente a mantenere aperti i reparti ospedalieri, RSA, etc,  tenuto conto del focus di ridurre i costi umani, morali e materiali.

Come si posiziona l’Italia sul tema lavoro di cura, dal tuo punto di vista?

È indiscutibilmente complessa e i segnali erano già chiari 15 anni fa. Non essendo in grado di comparare direttamente il lavoro effettuato dall'OMS nel contesto finlandese con la situazione italiana, posso solo esprimere alcune considerazioni personali.

Attualmente, l'Italia sembra necessitare di un risveglio significativo riguardo “all'uso” delle risorse umane nel settore socio-sanitario e sanitario, ed estenderei anche a quello assistenziale. Abbiamo assistito a una crisi, con una diminuzione del numero di studenti che scelgono di intraprendere studi in medicina, infermieristica e nelle professioni assistenziali, come ASA e OSS. Recentemente, durante una conferenza presso l’Università Bocconi, è emerso che il numero di operatori ausiliari socio-assistenziali (ASA) sta diminuendo, il che indica una preoccupante inversione di tendenza rispetto alla precedente abbondanza di personale dedicato alla cura, negli anni ’80 e ‘90.

L'Italia affronta un'urgenza sanitaria significativa, soprattutto per quanto riguarda la cura delle persone con acuzie o cronicità e gli anziani con comorbilità. Tuttavia, la carenza di personale è evidente, come dimostrato dal fatto che in alcune regioni è stata attuata una revoca per quanto riguarda i titoli di studio per il personale di base, proprio perché non reperibile sul territorio. Questa situazione può essere interpretata in diversi livelli: la riduzione delle iscrizioni agli studi in capo medico, infermieristico ed assistenziale viene interpretato come una persita della vocazione al lavoro di cura. Tale perdita, a parer mio, è una stretta conseguenza di un sistema che ha abusato della vocazione stessa, dando per scontato che le persone continuassero a “darsi” senza alcuna tutela e ricarica, se non meramente retributiva. I sistemi sono stati letteralmente drogati dalla grande presenza di personale giovane e/o straniero, ad ogni persona “bruciata” corrispondevano almeno il 500% di persone pronte a sostituirla. È necessario, invece, implementare sistemi che promuovano il benessere sia dei caregiver che delle/dei pazienti, rendendo i servizi più efficaci e virtuosi.

Un'altra dimensione critica è la crisi che si sta manifestando anche nei profili meno specializzati, come gli assistenti familiari, comunemente noti come badanti. La mancanza di personale in vari settori sta colpendo non solo la salute, ma anche il welfare familiare, con ripercussioni significative nei prossimi anni. Senza un supporto adeguato sul territorio, molte persone rischiano di non essere in grado di conciliare il lavoro con la cura dei propri familiari.

La questione è complessa e si intreccia con la sostenibilità economica del lavoro di cura. È fondamentale affrontare temi come stipendi, riconoscimento dei turni, e compatibilità tra vita familiare e lavoro, poiché molti operatori sanitari e assistenziali faticano a bilanciare le loro ore di lavoro con le esigenze familiari. L'isolamento e la gestione dello stress, particolarmente nel lavoro individuale di assistenza, richiedono anche investimenti in formazione e supervisione. L’errore fino ad ora attuato nella gestione delle risorse umane è stato il riconoscere le problematiche del personale sanitario come attribuite a disposizioni personali e non ad alla gestione organizzativa.

Un punto che mi ha colpito molto è il concetto di "moral distress," che descrive lo stress derivante dalla necessità di agire contro i propri valori professionali. Quando le persone sono costrette a compromettere i propri principi, questo non solo provoca un notevole disagio ma può anche portare a una diminuzione della qualità del servizio. È preoccupante notare come il declino della coscienza morale degli operatori possa contribuire a violazioni e discriminazioni all'interno del sistema sanitario.

In conclusione, è imprescindibile per l'Italia intraprendere un percorso di rinnovamento che innalzi gli standard qualitativi nel lavoro di cura, investendo nei professionisti del settore e nel loro benessere, affinché possano svolgere il loro lavoro con dignità e rispetto.

Sapresti suggerire quali potrebbero essere le azioni prioritarie per poter promuovere maggior benessere nel contesto del lavoro di cura?

In primo luogo, mi sento di sottolineare che la domanda sulle azioni prioritarie per promuovere il benessere nel campo del lavoro di cura è di fondamentale importanza. Un aspetto cruciale da considerare riguarda lo stile di leadership all'interno delle organizzazioni. Attualmente, segnaliamo una bassa rappresentanza di leadership femminile nei contesti socio-sanitari, mentre in Italia, nonostante il numero crescente di donne in ruoli direttivi nelle cooperazioni sociali, ai livelli apicali si osserva una predominanza maschile. Questo è paradossale, dato che la maggior parte del personale, tra medici e operatori, è prevalentemente femminile. Dobbiamo quindi investire nel supporto alle donne, affinché possano non solo accedere a carriere sanitarie, ma anche conciliare vita professionale e personale in modo sostenibile.

Un'azione prioritaria è lavorare su un'inclusione femminile effettiva e non superficiale. L'inclusione non deve essere un peso unicamente per le donne, ma deve diventare parte integrante della cultura organizzativa, permettendo alle professioniste di crescere e contribuire senza dover sacrificare le loro ambizioni personali.

In aggiunta a ciò, è essenziale promuovere la formazione delle soft skills tra il personale. Non basta fornire competenze tecniche; è fondamentale sviluppare abilità di intelligenza emotiva, gestione dei conflitti e feedback costruttivo. Spesso, i professionisti si trovano in difficoltà nel comunicare problemi o dubbi ai propri colleghi o superiori. Creare un ambiente di fiducia è cruciale affinché i membri del team possano sostenersi e migliorare insieme.

Le organizzazioni devono diventare luoghi in cui le persone si sentono ascoltate e riconosciute, evitando che il malcontento e la frustrazione diventino predominanti. Le lamentele che circolano tra il personale possono inquinare l'ambiente di lavoro e compromettere la qualità dell’assistenza. È fondamentale istituzionalizzare spazi di ascolto e dialogo, in cui il personale possa esprimere le proprie difficoltà e contribuire al miglioramento delle condizioni lavorative.

Un'altra area da non trascurare è la formazione continua e l'aggiornamento del personale. Dobbiamo sviluppare un sistema formativo che integri competenze tecniche, sociali e relazionali, così da preparare adeguatamente i professionisti a gestire le complessità del loro lavoro quotidiano. Qui si colloca anche il tema del rispetto per chi cura: è inaccettabile che il personale socio-sanitario sia visto come un semplice "servitore", quando, in realtà, svolgono un ruolo estremamente prezioso e complesso. La loro dignità deve essere riconosciuta e apprezzata.

Messaggio finale

Voglio lanciare un messaggio importante: dobbiamo sempre ricordarci quanto sia fondamentale il personale socio-assistenziale e socio-sanitario. Nel 2013, durante una conferenza, ho proposto un semplice esercizio di immaginazione: cosa accadrebbe se tutto il personale dedicato alla cura incrociasse le braccia per un giorno? Il risultato sarebbe devastante. Questo ci fa capire quanto dipendiamo da chi si prende cura di noi, eppure spesso trascuriamo il loro valore.

Parlare di rispetto è essenziale. Chi si trova in una posizione di fragilità, come chi ha un problema di salute o assistenziale, deve comprendere che anche chi offre cura ha i propri bisogni. È fondamentale educarci al rispetto reciproco, riconoscendo che chi ci cura non lo fa perché è obbligato, ma perché è in grado di farlo. I caregiver, siano essi professionisti o familiari, sono persone a loro volta e meritano rispetto, considerazione e gratitudine per il lavoro che svolgono.

Troppe volte riscontro che molti caregiver, anche professionisti, si trovano a fronteggiare situazioni di burnout e stress, mentre la convinzione comune è che solo i caregiver familiari siano colpiti. Tuttavia, la sofferenza e la complessità dei contesti in cui operano i professionisti della cura li espongono a rischi elevati. Ignorare queste difficoltà significa sprecare risorse preziose in un sistema che ha un enorme bisogno di supporto nella cura.

La questione della cura di chi cura rimane centrale. Da oltre vent'anni mi batto per questo tema, e l'Organizzazione Mondiale della Sanità ne ha fatto un obiettivo fondamentale. Tuttavia, non condivido a pieno l’approccio del “Help the Helper,” poiché suggerisce un’ottica di riparazione. Dobbiamo, invece, pensare a come prevenire i problemi per chi cura, piuttosto che ridurci a soccorrerlo solo dopo che si trova in difficoltà.

Dobbiamo smettere di prendere per scontato il personale di cura. Se continuiamo a ignorarne l’importanza, perderemo tutti. È indispensabile sviluppare una cultura che riconosca e valorizzi il lavoro di queste persone, siano esse professionisti o familiari. Se consideriamo il lavoro di cura come un dovere o come una vocazione, rischiamo di trivializzarlo. Anche se chi cura può essere motivato da una vocazione, non dobbiamo dimenticare che, alla fine, è un lavoro pagato.

In conclusione, dobbiamo trattare il personale di cura come una risorsa preziosa. Non possiamo sfruttarli fino a esaurirli. Dobbiamo impegnarci a mantenere attive e vitali le persone che si dedicano alla cura. Adottare un approccio biofilo, che preservi e rinvigorisca chi cura, è fondamentale. Non possiamo più permetterci un approccio necrofilo, in cui si abusa delle risorse e si considera il lavoro di cura come un bene usa e getta.

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