Sofferenza e cura organizzativa: uno sguardo sociologico
Luca Fazzi, Ordinario di sociologia e ricerca sociale presso l'Università di Trento, ha scritto un libro intitolato "Il maltrattamento degli anziani in RSA", nel quale affronta in modo lucido e profondo le problematiche legate alle residenze per anziani. L’autore mette in luce come, spesso, il maltrattamento non sia solo un atto violento, ma anche il risultato di una scarsa attenzione alle esigenze emotive e psicologiche degli ospiti. Suggerisce inoltre che il vero problema è strutturale, legato alla cultura e all'organizzazione delle strutture. Ecco alcuni spunti interessanti su cui vale la pena riflettere.
Su questo argomento così complesso e stratificato, poche sono le ricerche effettuate, soprattutto in Italia, dove l'argomento è quasi un tabù: se ne parla raramente e solo nelle emergenze, quando l'informazione segnala casi eclatanti che provocano indignazione verso le strutture e raccapriccio verso gli operatori. Ma poi tutto finisce lì e si delega alla magistratura il compito di indagare, fare chiarezza, portare avanti le indagini. Alla fine prevale il silenzio omertoso che si riserva agli argomenti scomodi, difficili, così complessi da apparire inafferrabili. Tuttavia, a parere di Fazzi, questi episodi sono solo la punta di un iceberg, perché il fenomeno è molto più complesso e articolato, con risvolti psicologici ed emotivi più difficili da individuare e quindi anche più pericolosi. Tra le varie forme di maltrattamento dà sottolineatura anche all'incuria, alla scarsa attenzione verso le condizioni degli ospiti: per esempio il far assistere a trasmissioni tv sul cibo a persone che si nutrono con il sondino. Potrebbero sembrare piccoli dettagli, ma in un contesto già deprivato di tante cose, le piccole attenzioni fanno la differenza! E se consideriamo quante sono le strutture residenziali nel nostro Paese, quante persone ospitano, il pensiero inquieta e non fa stare tranquilli.
La cosa paradossale è appunto che il nostro Paese detiene uno dei primati al mondo per longevità con una popolazione anziana tra le più numerose, pur tuttavia si nutre di una cultura prettamente giovanilistica dove è esaltata l'efficienza, la prestanza, il dinamismo e tutto quanto appartiene alla vecchiaia è considerato di poco conto, inutile, quasi un fastidio... Sorge spontanea una domanda: con la pandemia e tutto il parlare che si è fatto delle RSA, qualcosa è cambiato? Secondo Fazzi assistiamo in generale a un peggioramento della situazione e ne individua diversi motivi: innanzitutto l'allontanamento dei familiari e dei volontari che garantivano una certa vigilanza sugli ospiti, poi carichi di lavoro sempre più stressanti, con straordinari e doppi turni, per il personale rimasto in servizio. In questa situazione di emergenza sanitaria poi, la formazione - strumento importante a supporto degli operatori - è stata sospesa perché le priorità erano altre..., cui si è aggiunto un confronto con la morte e la sofferenza sempre più incalzante che ha aumentato il rischio di burn out. In pratica, suggerisce Fazzi, con la pandemia, ancora di più le RSA sono diventate delle istituzioni chiuse al territorio, conformandosi a quelle ‘istituzioni totali', di cui parlava Goffman (2) negli anni '60 e venendo così a perdere quelle caratteristiche di comunità vivaci e aperte che potevano avere.
Sorge la domanda: è tutto da rifare? Bisogna forse chiudere le RSA, come taluni propongono? Il professor Fazzi, con compostezza e serenità, ci dice che no, non sarebbe né giusto né realistico, ma occorre saper osservare quegli eventi sentinella che danno informazioni importanti e affrontarli. Ma ci avverte: il maltrattamento non è tanto un problema individuale, ma soprattutto strutturale. Riguarda infatti l'organizzazione complessiva del servizio, i valori che persegue, le priorità che guidano il lavoro di tutti. E questo indipendentemente dalla conformazione giuridica della residenza, che sia essa pubblica o privata.
Molto dipende invece dalla cultura del servizio, da ciò che viene valorizzato o meno dai dirigenti che impostano l'organizzazione del lavoro, dagli strumenti che vengono approntati per tenere sempre monitorata la salute di tutti, operatori compresi e dai sistemi di regolazione degli appalti. Fa la differenza, e questo lo capiscono tutti, se si lavora per compiti o per progetti, se prevale l'efficienza o l'umanizzazione, se gli operatori di tutti i livelli sono coinvolti nei processi decisionali o se la maggior parte ne sono esclusi, se prevale la competizione o la collaborazione, se le gare d'appalto sono sempre al ribasso. Per questo Fazzi suggerisce che la formazione vada fatta anche alle figure apicali, che devono avere le competenze per impostare un lavoro che garantisca il maggior benessere possibile a tutti, operatori e ospiti.
Gli esempi raccontati dal professor Fazzi danno la misura dell'approfondimento della sua ricerca, del buon livello di conoscenza delle residenze e delle problematiche relative alle relazioni di cura. Ha osservato molto e molto parlato con gli operatori. Questo si percepisce e gliene siamo grati. Infatti tiene a precisare che è facile registrare dei comportamenti - anche non in malafede - che possono danneggiare i fruitori dei servizi invece che riceverne benessere, proprio perché spesso non c'è una sufficiente riflessione sulle pratiche.
Quindi spero di avervi sufficientemente incuriosito per andare a leggere questo libro e portare alla luce nuove conoscenze che aiutino a migliorare la qualità del nostro lavoro di cura sia che si svolga in un'istituzione, sia tra le mura di casa perché il rispetto dell'altro con la sua unicità non deve mai smettere di interrogarci.